IL TRIBUNALE
    Nel  procedimento  penale in fase di indagini preliminari a carico
 di Scherlin Franz nato a Castelrotto il 6 febbraio 1952, residente  a
 Merano,  Camera  Federico nato a Torre Annunziata l'8 settembre 1945,
 residente a Roma e Tangorra Gaetano nato a  Triggiano  il  20  agosto
 1939, residente a Castelfidardo.
    Nel  settembre  1992  la  guardia  di finanza inviava alla procura
 della Repubblica di Campobasso un ponderoso rapporto  denunziando  un
 gruppo  di  persone  in  relazione  a  complesse  vicende di prestiti
 usurari  e  di  finanziamenti-truffa,  che  erano  culminati  in   un
 attentato  a  scopo  estorsivo.  Il  procuratore  della Repubblica di
 Campobasso, rilevato che dagli atti emergevano elementi per  ritenere
 che  un  gruppo  di  indagati  si  fosse  associato  in  Bolzano  per
 organizzare  una  serie  di  truffe  mediante  fittizie  societa'  di
 finanziamento  e  uso  ripetuto  di  titoli  falsi, trasmetteva parte
 dell'indagine alla procura della Repubblica di Bolzano.
    I   soggetti   denunziati   e   sopra   indicati,    sono    tutti
 pluripregiudicati.
    Il  p.m.  interrogava uno degli indagati, il quale gli assicura di
 essere innocente, e poi ascoltava alcuni testimoni gravitanti attorno
 allo Scherling  e  che  confermavano  come  questi  stesse  svolgendo
 traffici  ben  poco  chiari;  dopo  di  cio',  senza  svolgere  altra
 istruttoria, ne' in merito al reato di associazione  per  delinquere,
 ne'  in  merito all'esistenza di altri reati (truffe, falso) chiedeva
 l'archiviazione della denunzia della guardia di finanza.
    Questo g.i.p. ritiene (a torto od a  ragione)  che  ricorrano  gli
 estremi  per  indicare  al  p.m.  la necessita' di svolgere ulteriori
 specifiche  indagini  e  all'uopo  dovrebbe  fissare   l'udienza   di
 comparizione delle parti a norma dell'art. 409 del c.p.p.
    Sorge  pero'  il seguente problema: il g.i.p. dovrebbe ordinare al
 p.m.   di   svolgere   intercettazioni   telefoniche,   di   eseguire
 perquisizioni  domiciliari e sequestri di documenti, di sentire altri
 testimoni e parti offese, vale a dire di svolgere un'istruttoria come
 arte e  diligenza  insegnano;  purtroppo  pero'  trattasi  di  quelle
 attivita'  d'indagine  cosiddette  "a sorpresa" che perderebbero ogni
 significato se gli indagati venissero  avvertiti  in  anticipo  della
 loro  effettuazione;  cosa  purtroppo  inevitabile  se il g.i.p. deve
 ordinare la comparizione delle parti in camera di  consiglio  per  la
 discussione del caso.
    Al  di  fuori  del  caso  concreto, il problema e' il seguente: e'
 ragionevole che il  nuovo  codice  di  procedura  penale,  dopo  aver
 stabilito  il  massimo riserbo sullo svolgimento delle indagini, dopo
 aver stabilito che l'indagato deve essere  tenuto  il  piu'  a  lungo
 possibile  all'oscuro  delle  indagini (art. 335, terzo comma), salvo
 che occorra la presenza del suo difensore, poi, per il solo fatto che
 il p.m. decida di archiviare gli atti, magari per sbaglio, magari per
 favorire un imputato, magari per insabbiare un caso (sia  ben  chiaro
 che queste ipotesi nulla hanno a che fare con il caso in esame in cui
 non  vi  e'  il minimo dubbio sulla correttezza del p.m.) preveda che
 gli atti vengano portati a conoscenza degli imputati e che essi siano
 messi in  condizione  di  impedire  ogni  attivita'  di  indagine  "a
 sorpresa".
    A  parere  di  questo  g.i.p.  la  risposta  non  puo'  che essere
 negativa: la  situazione  delineata  e'  assolutamente  irragionevole
 poiche'  fa  dipendere  la  sorte di un processo da una decisione del
 p.m.  che,  nella  quasi  totalita'  dei  casi,  produce   un   danno
 irrimediabile;  il controllo del g.i.p. sull'operato del p.m. diventa
 quindi una mera formalita' inutile che non puo'  rimediare  al  danno
 fatto. E' inoltre irragionevole poiche' non si vede il motivo per cui
 l'indagato (che magari ignora persino la pendenza dell'indagine) deve
 poter  interloquire  sui  metodi  di indagine a suo carico| I diritti
 dell'indagato sono gia' garantiti piu' che a sufficienza dalla  norma
 che pone un limite temporale alle indagini preliminari.
    Si  pensi,  tanto per fare un esempio limite, al caso del p.m. che
 non  voglia  credere  alle  dichiarazioni  di  un  pentito  e  chieda
 l'archiviazione  degli  atti:  il  g.i.p.  dovrebbe convocare il capo
 mafia accusato per discutere  delle  dichiarazioni  del  pentito,  il
 quale  si  troverebbe  senza  la  protezione  prevista  dalla legge e
 potrebbe essere eliminato|
    Non vi e' dubbio quindi, a parere di questo g.i.p. che l'art.  409
 del c.p.p. sia incostituzionale perche' in contrasto con gli artt. 3,
 24  e  112  della  Costituzione,  secondo regole gia' affermate dalla
 Corte costituzionale (cfr. ad es. sent. 3 giugno 1992, n.  255):  con
 l'art.  3  poiche' fa dipendere la sorte di un processo solo dal modo
 in  cui  il  p.m.  imposta  un'indagine,  senza  possibilita'  di  un
 sostanziale ed efficace controllo del giudice; con l'art. 24 poiche',
 per  lo  stesso  motivo, limita il diritto dello Stato a perseguire i
 rei;  con  l'art.  112  poiche'   riduce   l'obbligo   dell'esercizio
 dell'azione penale ad un mero fatto formale.
    La  questione e' sicuramente rilevante nel caso in esame in cui e'
 evidente la necessita' di indagini "a sorpresa".
    Al riguardo si potrebbe obiettare che nel momento  in  cui  questo
 g.i.p.  rinvia il problema alla Corte costituzionale, deve notificare
 l'ordinanza alle parti e quindi si  trova  anch'egli  costretto,  per
 altra  via,  a  portare  a  conoscenza  degli  indagati cio' che essi
 dovrebbero ignorare.
    Cio' pero' non  puo'  incidere  sulla  rilevanza  della  questione
 poiche' altrimenti si dovrebbe concludere che vi sono delle questioni
 di  costituzionalita'  che  sul  piano pratico non possono essere mai
 sollevate  e  si  dovrebbe  anche  pervenire  ad   un   sospetto   di
 costituzionalita'  della  norma  che regola i giudizi costituzionali,
 la' dove  ha  posto  un  concetto  di  rilevanza  che  ha  consentito
 un'interpretazione  cosi'  restrittiva,  di  tal che vi sono infinite
 questioni che sarebbe opportuno sottoporre alla Corte costituzionale,
 ma non si riesce a farlo poiche' cio'  richiederebbe  l'instaurazione
 di   un   apposto   giudizio  o  perche'  si  creerebbero  situazioni
 paradossali (si pensi al caso del giudice che volesse  impugnare  una
 norma  che  impone obbligatoriamente la custodia cautelare; egli, per
 tutelare il diritto dell'imputato, dovrebbe sospendere il processo  e
 lasciarlo in carcere fino alla decisione della questione).